L'elisir al circo

Finalmente di nuovo ad assistere ad un'opera lirica! Una nuova produzione de "L’elisir d’amore" di G. Donizetti targata La Monnaie/De Munt, realizzata al Cirque Royal/Koninklijk Circus perché il teatro ufficiale è chiuso per lavori. Direttore Thomas Rösner (un viennese!), regia Damiano Michieletto (veneziano!), coro diretto da Martino Faggiani, con Olga Peretyatko nella parte di Adina, Dmitry Korchak in Nemorino, Aris Argiris in Belcore e Simón Orfila in Dulcamara, con l’orchestra sinfonica ed il coro de la Monnaie/de Munt.

L'ingresso del "circo"
La serata è partita male, merito di un’organizzazione pessima. Il Cirque Royal, è una sorta di moderna sala da concerti ma senza organo e con i sedili con pendenze da capogiro, come nemmeno nelle vecchie aule del Bo avevo sperimento. Acquistati i biglietti online, per la modica cifra di €16 a testa + €3 di gestione, la sottoscritta ed un’amica erano pronte ad entrare una decina di minuti prima dell’inizio previsto. Abbiamo salito le scale fino alla balconate e lì un ragazzo ci ha detto che per il nostro settore dovevamo scendere. Mah, le indicazioni davano di salire. Pazienza, scendiamo tre piani di scale e seguiamo nuovamente le indicazioni. Un altro tipo stavolta ci lascia passare, raggiungiamo la balconata che troviamo coperta da un telo nero ed un ragazzo ci dice che non aprivano il settore e che dovevamo tornare giù per farci cambiare i biglietti. Torniamo giù e qui una signora ci dice che il responsabile era andato a far aprire la balconata. Per la terza volta torniamo su e finalmente possiamo sederci, solo per scoprire che in realtà siamo rimaste praticamente le uniche in balconata, perché gli altri nel frattempo si erano spostati nei posti liberi dei settori più centrali. Le solite cose fatte a metà alla brussellese!

Finalmente inizia lo spettacolo, con il consueto ritardo. L’orchestra è letteralmente imbucata di lato, pregiudicandone l’udibilità, con abbigliamento da spiaggia. Il palco, al centro della sala, rappresenta esattamente una spiaggia. Ambientazione moderna che ha pregiudicato la resa:
1. Il direttore d’orchestra, nelle vesti di bagnino, dava le spalle alla scena. Nonostante gli schermi e gli sbracciamenti, i cantanti facevano un po’ quel che volevano, tanto che più di qualche volta accompagnamento e melodia erano sfasati.
2. I cantanti sono stati costretti a cantare in posizioni assurde o compiendo azioni strane, dallo stretching in spiaggia per Adina ad un ballo tipo tarantella per Dulcamara (giusto per informazione, Adina era l’animatrice di una sorta di lido, Nemorino il tuttofare bruttino ed imbranato, Dulcamara spacciava una copia di una nota bevanda energizzante, di cui hanno ripreso pure l’auto pubblicitaria e, udite bene, Belcore era una sorta di ufficiale di marina - sergente! non mi risulta questo grado! - che ci ha donato uno spogliarello che ci saremmo volentieri risparmiati).
3. Infine le azioni di contorno (per esempio dei coristi) distraevano lo spettatore (tranne nel caso delle arie, in cui il coro si congelava e la luce puntava solo sui solisti).
In conclusione, la regia è diventata forzatamente la protagonista della rappresentazione, facendo scomparire la musica.

Una scena. Foto dal web.
I solisti hanno brillato solo per il coraggio di mostrarsi seminudi e per riuscire a cantare anche correndo al limite del ridicolo. Per il resto erano troppo concentrati dai movimenti da compiere per dedicare un po' di attenzione al testo ed alle note. Vocalmente salverei soltanto Dulcamara. L'insieme mi è risultato talmente fastidioso che, con la prospettiva d’impiegare almeno un’ora per rientrare e visto che l’indomani comunque si lavora, all’intervallo ho tagliato la corda. Tanto, come ha detto un collega, conosco già la storia.

P.S. Perché non si pensi che sia a priori contro le trasposizioni in tempi moderni di opere storiche, ricordo delle ottime realizzazioni in passato, tipo una versione del "Don Pasquale" ambientata negli anni ’20 o del "Così fan tutte" negli anni ’90. Un po’ meno felici sono state "Traviata" all’Arena, dominata da una bambola gonfiabile, o una "Boheme" di periferia, ma comunque il senso dell'opera è rimasto. Perché voler colpire a tutti i costi, snaturando il lavoro del compositore? Come quando trasformarono nella vita di un suicida il magnifico oratorio sacro "Messiah" di Händel. Credete veramente che vedere un tipo panciuto in boxer in spiaggia parlare con un italiano dell’800 sia credibile? Altro che sognare, immedesimarsi ed immergersi completamente nella musica!

Jubiläums-Konzert

La comunità luterana di lingua tedesca a Brussel/Bruxelles ha festeggiato questo weekend 60 anni di esistenza, rifondata dopo la II guerra mondiale, e 40 anni dalla benedizione dell’edificio in Avenue Salomé. Oltre ad un culto particolarmente festivo ed a varie occasioni conviviali, come celebrare meglio questa ricorrenza se non con un concerto, cui hanno assistito vescovi da altre comunità, rappresentanti della chiesa cattolica di lingua tedesca e di parrocchie belghe, e persino il novello ambasciatore di Germania?

Il concerto in questione aveva come protagonisti Anneli Harteneck, soprano, Sarah Vermeyen, flauto traverso, Wim Spaepen, violino, Stijn Saveniers, violoncello, e Gertrud Schumacher, clavicembalo, con un programma che comprendeva: Canzoni I e V di G. Frescobaldi, “Cantabo Domino” di A. Grandi, “O quam pulchra es” di C. Monteverdi, Sinfonia di J.J. Fux, Fantasia per violino solo di G. Ph. Telemann, poi di C.Ph. E. Bach tre Lieder, Hamburger Sonate in sol magg. per flauto e b.c. e Pastorale in la minore, infine di J.S. Bach “Hört, ihr Völker” dalla cantata BWV 76, preludio dalla V suite per violoncello solo e “Meine Seele sei vergnügt” dalla cantata BWV 204. Come bis, un corale, come ogni cantata che si rispetti.
Ogni strumento (eccetto il clavicembalo) ha avuto la possibilità di mostrare le proprie peculiarità ed il solita di turno il proprio virtuosismo. In questo si sono potuti distinguere i giovani interpreti (flautista, violinista e violoncellista) da quelli più maturi (in questo caso il soprano). I giovani hanno mostrato particolari abilità tecniche (pur se con minime imperfezioni), ma un’interpretazione quasi meramente basata sulla fedeltà allo spartito, mentre Anneli Harteneck ha reso il significato di ogni parola, sempre comprensibilissima, che fosse in latino o in tedesco. Gertrud Schumacher, al clavicembalo, ha fatto un servizio dignitoso e costante, anche se forse per l’età (decisamente avanzata) o per le prove limitate non ha mostrate una grande coesione col violoncello. In ogni caso, tanto di cappello agli esecutori, che sono riusciti a rendere un gradevole concerto nonostante l’acustica secchissima dell’ambiente, che non perdona alcun errore. Prima della famiglia Bach, il violoncellista ha spiegato in un tedesco migliore del mio che C. Ph. E. Bach è sottostimato nei confronti del padre, perché in realtà Carl Philipp Emanuel è stato un personaggio importante della storia della musica tanto da essere considerato un “padre” per Haydn, Mozart e tutto il Classicismo. Cosa che personalmente condivido a livello teorico, ma un paragone con J. S. Bach è inopportuno, data la grandezza di quest’ultimo oltre i limiti delle epoche. I brani scelti l’hanno chiaramente dimostrato. In genere, ho apprezzato la  scelta del repertorio cantato, appropriato al luogo ed all’occasione. Delicatezza che generalmente è tipica della comunità tedesca, non solo luterana, ove la musica è parte integrante della liturgia e non mero accompagnamento.
Nel tradizionale brindisi del dopo concerto ho ritrovato quasi tutti i partecipanti alla Bachreise. D’altronde la predica del culto della domenica di ritorno è stata dedicata al corale “Schmücke dich, o liebe Seele” BWV 654 e l’intero giornalino d’autunno della comunità ha come tema J. S. Bach. La serata è proseguita per me con una simpatica cena cipriota con un’amica melomane con cui sto partecipando a parecchi concerti in città ed una collega britannica incuriosita dal mio entusiasmo nel far pubblicità all’evento. Ovviamente mi ha fatto molto piacere vedere la chiesa gremita in un freddo sabato sera ed in una zona non proprio facilmente raggiungibile con i mezzi pubblici. Ennesima conferma come la comunità tedesca sia una garanzia in termini di musica.