La Bohème in volo

Recentemente ho dovuto affrontare un lungo volo, di quelli da 11 ore, in cui non sai cos'altro fare se non spulciare l'offerta del piccolo schermo di fronte a te. Viaggiando su un A380 Lufthansa, il comfort e la scelta erano davvero impressionanti nonostante la classe economica. Invece di guardarmi il classico film d'azione, il cartone animato di turno o la commedia sentimentale strappalacrime, mi sono immersa nella visione de La Bohème, versione Festival di Salisburgo 2012.

Il cast:
Rodolfo: Piotr Beczala
Musetta: Nino Machaidze
Schaunard: Alessio Arduini
Colline: Carlo Colombara

Direttore d'orchestra: Daniele Gatti
Orchestra: Wiener Philarmoniker

Poiché l'aereo è per definizione rumoroso, non ho potuto apprezzare appieno l'esecuzione musicale, perciò mi soffermerò esclusivamente sulla regia. La vicenda era trasposta in tempi moderni, con Mimì che fuma sigarette e tatua fiori invece che ricamare, con minigonna e giacchino in pelle, capelli e trucco pesantemente nero, un tantino gothic, Rodolfo è un regista e scrittore di sceneggiature, dagli occhialoni vintage, Marcello un graffitaro, Schaunard sembra un artista del Cirque du Soleil (notevole presenza scenica) e via così. Le scene ridotte all'osso ma simboliche: la mappa 3-D di Parigi ove gli edifici diventano panche, la soffitta caotica di un classico appartamento condiviso da soli maschi ed il venditore di hot-dog su una strada di periferia di cui non si vede la fine. Bohème ha sempre un fascino particolare, l'urlo straziante - Mimì - di Rodolfo nelle ultime battute dell'opera mi commuove immancabilmente. A parte qualche momento in cui il testo ottocentesco cozzava fortemente con la trasposizione moderna, il giovane regista veneziano non ha affatto rovinato, bensì esaltato la magia del racconto di una semplicissima storia d'amore.

Prima di Bohème le opere potevano essere riassunte dalla frase che cito spesso "il soprano ama il tenore ma il baritono non vuole", ma in Bohème questo schema è stravolto. Tra Mimì e Rodolfo non c'è alcun tutore o genitore geloso, pretendente respinto, marchese o visir possessivo, c'è solo la malattia, una cosa contro cui non possono nulla. Quasi un secolo dopo il film Love Story si cimenterà più o meno con lo stesso argomento, almeno nel finale, e da lì si è sviluppato un intero filone cinematografico. I siparietti tra Musetta e Marcello alleggeriscono l'atmosfera, come in ogni buona storia che si rispetti. Bohème è dal punto di vista narrativo di una modernità impressionante. Ammaliata dall'opera, comprai tempo fa il romanzo originale di H. Murger e ne rimasi profondamente delusa. Il lavoro dei librettisti, fondendo due personaggi diversi nella nota Mimì e riducendo all'osso le articolate vicende del libro, è stato magnifico. Assieme alla musica, ciò ha determinato il successo dell'opera, per cui, pur con un audio di bassa qualità e la stanchezza di un volo intercontinentale, per due ore non è esistito altro che "quelle cose che han nome poesia".