Finalmente Silbermann

Mentre ero a Freiberg in Sassonia per un corso, non ho perso l'occasione di ascoltare un concerto d'organo sui due celebri strumenti di Gottfried Silbermann nel locale duomo (luterano). Il concerto, che si tiene ogni giovedì, oggi prevedeva il giovane Gijs Boelen suonare brani di F.T. Richter, J. Pachelbel e W. Byrd sul piccolo Silbermann e N. Clerambault, G.F. Händel e J.S. Bach sul grande Silbermann. Essendo una chiesa protestante (anche se in origine era cattolica), è stato concesso l'ingresso al matroneo, da dove si godeva di una visione e di un'acustica ottimali. Essendo protestante, c'è stata anche una specie di predica da parte del pastore tra prima e seconda parte.


Bisogna riconoscere che l'organista se l'è cavata egregiamente, anche se personalmente non mi sono piaciuti la scelta del repertorio (per forza barocco perché suonava un Silbermann, ma includendo francesi ed inglesi), delle registrazioni ("portate da casa", lo strumento, specialmente quello grande, a mio parere dava spazio a molte possibili combinazioni, magari più appropriate all'acustica) e dell'interpretazione (scolastica, secondo prassi - ok - ma anche asettica ed impersonale). Ammetto che uno suoni Bach su questo organo perché era uno delle possibilità che il grande compositore poteva trovarsi sotto mano, ma da qua a dire che Silbermann sia il punto di riferimento per l'organo di Bach il passo mi sembra un po' troppo lungo. Come ho già detto, suonare Bach su uno strumento moderno o Reger su uno antico, se fatto con coscienza, non sono contraddizioni improponibili, semmai spunti di ricerca.

Il suono del Silbermann (grande), complice anche la perfetta acustica dell'antica chiesa, è semplicemente commovente. Che si tratti di un bordone, un flauto, un principale… presi singolarmente riempiono ed illuminano l'ambiente con timbri caratteristici ed unici, quando poi è entrata la bombarda al pedale in una cadenza mi sono veramente salite le lacrime agli occhi. Fantastico! In tre secoli non siamo riusciti a riprodurre una combinazione così perfetta di materiali e spazi sonori!

Intervista a Bach

Autocitazione... post pubblicato nell'altro blog, ma forse più attinente al tema di questo. In attesa di commenti.

Liszt e Bach

Appena rientrata da uno dei concerti della serie dedicata a Franz Liszt a Schottenstift, questa volta a suonare c'era il benedettino di Einsiedeln Padre Theo Flury. Dopo l'abituale preghiera di Compieta e due parole d'introduzione di Padre Georg, Padre Flury ha voluto chiosare tre brani che avrebbe suonato:

Foto di qualche anno fa di P.Theo Flury da qui
- ha raccontato la genesi della Fuga "Fede a Bach" di M.E. Bossi, che ha come tema le note dal titolo (nel sistema tedesco, fa-mi-re-mi-la-sib-la-do-si),
- ha spiegato l'origine della sua composizione in stile di virelai su un canto popolare di Monserrat;
- infine ha proposto una nuova chiave d'interpretazione della tripla fuga BWV552, in passato legata al nome di St. Anna... in realtà il soggetto della prima fuga richiamerebbe il corale luterano "Was mein Gott will, das g'scheh' allzeit" (ascoltare per eventualmente trovare la somiglianza).

foto di Liszt da qui
Il concerto si è aperto con il Preludio BWV552, suonato con sapienza teologica, poi è seguita un'improvvisazione al pianoforte sul basso del Crucifixus dalla messa in si min. di J.S. Bach, un po' scolastica a mio parere, soprattutto sapendo che oltre alle celebri variazioni per organo Liszt ha composto anche un brano più breve e per pianoforte sul medesimo soggetto, a seguire la succitata fuga di M.E. Bossi... che non conoscevo ma che richiamava molto la fuga del Tema e Variazioni, al centro il celeberrimo Preludio e Fuga sul nome BACH di F. Liszt, ben eseguito ma non in modo strabiliante, complice la poca confidenza con lo strumento in uso e quindi la scelta non azzeccatissima delle registrazioni e forse anche una certa overdose di ricerca teologica che sembrava aver soverchiato quella musicale, poi, simmetricamente, la sua composizione sul canto popolare che si concludeva con una fuga sul nome Bach, un'altra improvvisazione sul Crucifixus ed infine la Fuga BWV552.

A tre quarti del concerto me ne sono andata, stanca perché fuori casa da più di 14 ore, affamata, infreddolita, e soprattutto non presa abbastanza dalla musica come invece è accaduto altre volte, dimenticando la quotidianità e trasformando il corpo intero in un gigante padiglione auricolare. 

maratona Liszt: prima puntata

A Schottenstift, come annunciato, è iniziata la rassegna di concerti con l'opera omnia per organo di Franz Liszt, in occasione del suo 200simo compleanno. All'organo Mathis la giovane e brava Zuzana Ferjencikova (che per l'occasione ha fondato una specie di associazione).

La prima serata comprendeva vari brani "minori", tra cui un Andante religioso ed un'Ave Maria (rielaborata anche in forma vocale per coro a 6) ed un pezzo forte, l'Ad nos. Concerto molto bello, con connotazioni spirituali pur senza l'usuale preghiera di Compieta a precederlo. L'organista ha confermato la mia opinione su di lei, nonostante la giovane età ha già una maturità interpretativa non comune che viene esaltata nel repertorio romantico. In qualche cambio di registrazione originale si riconosceva anche il guizzo del suo maestro, Jean Guillou. Solamente in un punto non ho apprezzato l'unione di un'ancia da 8' con un registro di fondo da 16' perché quest'ultimo, meno pronto, dava l'impressione di un eco indesiderato.

Alla serata hanno assistito anche un'amica organista ed l'ospite del post precedente, che questa volta non ha faticato a resistere l'oretta scarsa del concerto, sia perché non c'era nulla da capire, sia perché la musica era davvero bella. Non ho potuto fare a meno di pensare al mio maestro, Francesco Finotti, ed a come avrebbe suonato lui su quello stesso strumento. Purtroppo potrò partecipare nuovamente a questa serie di concerti solamente all'ultima puntata, causa viaggi di lavoro, ma non mancherò di aggiornare il blog.

il Doge di Vienna

da sito Staatsoper

No, non è un errore, non volevo scrivere Venezia, anzi semmai la città corretta sarebbe Genova. Ovviamente mi riferisco al Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi che ha aperto la stagione alla Staatsoper in una sorta di prima della prima (non la nota trasmissione rai che mi avvicinò a questo mondo quando era trasmessa in orari decenti, ). Prossimamente ci sarà uno scambio con la Scala per cui la vera Prima della stagione viennese è rinviata di qualche settimana. Per la concomitanza dell'inizio della stagione alla Staatsoper e la conclusione del Film Festival di quest'estate, l'opera è stata trasmessa in diretta (o forse con un minimo di ritardo) davanti al Rathaus, ove l'ho vista.


Questo allestimento del Simon Boccanegra si rifà a quello del 2002, in questo caso con la direzione musicale di Paolo Carignani, regia di Peter Stein e con Placido Domingo (Simon), Ferruccio Furlanetto (Fiesco), Massimiliano Pisapia (Gabriele), Barbara Frittoli (Amelia), etc. Per quel che ho visto mi è piaciuta. Placido Domingo resta un tenore nel timbro di voce, ma la sue capacità sia espressive che recitative fanno dimenticare ogni possibile remore. La regia era semplice ma efficace, ricreando quell'atmosfera cupa di odio, invidia ed incomprensione, in cui solo alla fine l'amore e la riconciliazione trionferanno.

La maledizione degli spettacoli trasmessi al Rathaus, per cui non riesco mai a vederli fino al termine, ha colpito ancora. Questa volta la causa non è stato il maltempo ma un ospite stufo di seguire passivamente una scena buia senza capire cosa stesse accadendo. Aveva tutta la mia comprensione, non condivido la scelta di quest'anno di non proiettare il testo delle opere o la traduzione in sottotitoli. La platea era piena e mi domando come mai tanti austriaci vadano a sentire simili spettacoli non capendo una sillaba del testo perchè:
- cantato, specialmente per le voci femminili è arduo scandire le consonanti, molti cantanti poi non cantano nella loro madrelingua,
- cantato in italiano, lingua conosciuta da molti austriaci ma non al pari dell'inglese,
- cantato in italiano arcaico ed aulico, il libretto di un'opera dell'ottocento non è facilmente comprensibile nemmeno per un italiano che lo legge,
In questo caso l'opera non era nemmeno delle più celebri, come potrebbero essere Rigoletto o Traviata, e la trama piuttosto intricata. Credo che solamente un melomane affezionato al genere avrebbe potuto resistere fino al termine dello spettacolo, ma in questo caso la persona in questione avrebbe acquistato un biglietto alla Staatsoper e non sarebbe venuta a vedere una proiezione all'aperto!